19/09/2012 - 10.43

A BRATISLAVA MONDIALI DA RECORD

azzurri podio
CHE BELLEZZA QUESTI GIOVANI  !

1600 atleti dai cinque continenti, 50 nazioni partecipanti, 2300 le persone coinvolte in questo Mondiale  di grande successo che si è appena concluso  in Slovakia. Commozione per la scomparsa di Joe Lewis durante la cerimonia di apertura.

di Ennio Falsoni

La cerimonia di apertura di questa edizione 2012 dei Mondiali cadetti/juniores della Wako  che si sono appena conclusi, coi suoi 3000 presenti nel  vecchiotto palazzo dello sport di Bratislava, è  stata particolarmente significativa  e direi addirittura emozionante.  La giornata coincideva infatti  con un doppio ricordo per   la squadra americana presente e per tutti noi: si onoravano i caduti dello storico attacco alle Twin Towers dell’11 settembre  (che ha radicalmente cambiato la visione e gli equilibri  del mondo  che avevamo )  e la recente scomparsa di quello che, unanimemente, è ritenuto uno dei padri fondatori della moderna kickboxing, Joe Lewis.  L’ex Marine americano  aveva solo 68 anni e a ucciderlo anzitempo è stato un terribile tumore al cervello contro il quale lui  aveva lottato invano per meno di due anni. Joe era stato in Italia, ospite di una famosa edizione della Pasqua del Budo che organizzavo, insieme a Spartaco Bertoletti, portando lo spettacolo in giro per l’Italia  negli anni ’80 e successivamente in uno degli stage fondamentali per la divulgazione di quella che allora era un ‘nuovo modo di intendere e praticare il karate’ , al Ciocco in Toscana, dell’allora Fiam. Sono certo che le sue  eccellenti doti tecniche resteranno impresse per sempre nella memoria di chi ebbe la fortuna di  partecipare ai suoi allenamenti e con lui è scomparso, oltre che un vecchio amico, anche un ‘icona del nostro sport, uno dei grandi con la g maiuscola. Ma a fare da contr’altare a questi momenti di vera tristezza, c’era questa massa enorme di giovani e giovanissimi che aveva invaso la città e che stava di fronte a me  e che con il loro entusiasmo, la loro passione, il loro vero amore per il nostro sport, ha poi contagiato tutti.
Devo francamente dire che gli eventi che vedono i giovani protagonisti, sono quelli che mi piacciono maggiormente perché mi divertono, perché mi  emozionano,  perché mi lasciano estasiato con le loro funamboliche evoluzioni, a volte quasi incredulo. E spesso io gioisco per le loro vittorie, così come mi dispiaccio quando li vedo tristi per la sconfitta o, addirittura, quando  piangenti finiscono tra le braccia dei loro coach, che li consolano, li coccolano, parlano loro dicendo  di non essere dispiaciuti perché hanno fatto il massimo, che quello è lo sport, che si vince e si perde e che si deve accettare anche quello.
E’ un vero spasso seguire le loro evoluzioni, soprattutto quelle dei più giovani, ossia di quegli atleti in erba di  10 o 11 anni, alti come un soldo di cacio, dei veri frugolini vestiti di tutto punto e col loro casco con visiera, che  sul tatami si muovono come delle saette, che calciano a mitraglia e che per imitazione ripetono le strategie, gli atteggiamenti, le tecniche dei rispettivi coach. Una vera bellezza!
La mia postazione ai campionati Wako è sempre nel mezzo dell’ampia sala,  a ridosso dei quadrati di gara ed equidistante dai ring. Chiaro che osservo sempre, per quanto mi è possibile, le evoluzioni degli atleti azzurri, ma in genere seguo un bel po’ di incontri e cerco sempre di   guardarmi gli incontri dei più titolati atleti, siano essi stranieri o italiani. Ho seguito da vicino i match di Gabriele Casella,   atleta juniores  di K1 di 75 chili della scuola di Massimo e Paolo Liberati (quest’ultimo al suo angolo a Bratislava, insieme ai fratelli  Giorgio e Fabio  Perreca, i tecnici degli sport da ring delle squadre juniores) che alla sua prima apparizione in una competizione internazionale così importante è riuscito a conquistare la medaglia d’oro.  Gabriele , passato il primo turno per sorteggio, ha battuto al secondo turno il serbo Vidovic che si era sbarazzato precedentemente di un atleta russo, pur soffrendo solo nella terza ripresa dopo aver dominato le prime due e successivamente, superando agevolmente  il polacco Igor Bzowka in semifinale e aggiudicandosi il gradino più alto del podio sconfiggendo in finale, per giudizio unanime,  l’ungherese Deszo Bakacs. Alto, longilineo, Casella ha la grinta e la determinazione del guerriero . Possiede solidi calci e una buona impostazione di pugilato. Ha sempre sofferto un pochino la distanza, ma a volte è solo una questione psicologica a fargli consumare più energie del previsto. Comunque, la sua prestazione  è stata un bel vedere e sono certo che sentiremo presto parlare di lui.
Sempre negli sport da ring, mi è molto piaciuto anche un altro  romano, Emanuele Tetti, allievo di Alessandro Topa (che lo ha seguito all’angolo nei 54 chili di Low-Kick), per il suo temperamento e  il suo coraggio indomito. Emanuele  ha sconfitto ai punti lo slovacco  Mario Fasko  al primo turno e quindi, entrato in semifinale, l’azerbaigiano Kamar Babaev. In finale però aveva di fronte a sé un atleta davvero spettacolare, tecnico e forte, il russo Khamid Paskhaev, e ha perduto pur buttando il cuore oltre l’ostacolo. Onore a lui comunque per la sua bella medaglia d’argento.
Entrata in punta di piedi tra le attività Wako soltanto due anni orsono, la kick-light sta esplodendo e ha dato a questi Mondiali grandi soddisfazioni all’Italia che l’aveva proposta e lanciata  al posto dell’aero-kickboxing. Gli azzurri, diretti splendidamente da Bruno Campiglia (e per l’occasione da Egidio Carsana di Bergamo), hanno addirittura fatto arrivare l’Italia prima nello speciale medagliere per nazioni! Pensate che  su 12 atleti componenti la squadra di specialità, 8 sono andati in zona medaglia con 2 ori, 3 argenti e 3 bronzi. Il successo lo si deve soprattutto a delle splendide ragazze, Nicole Perona e Angelica Picone che hanno conquistato l’oro grazie alla splendida condizione fisica e alla condotta tecnico-tattica dei rispettivi incontri che le hanno viste prevalere rispettivamente sulla polacca Kingha Szlachcic e Nicola Faberova (Slovacchia). Ma dietro di loro, si sono ottimamente comportati  anche Monica Floridia, Chiara Elena Ferrarotto e Luca Mameli che hanno vinto l’argento, mentre si sono fermati al bronzo Kevin Carlessi (promettente giovane bergamasco), Alessandro Gober e  e Gabriele Biondi.
Nel light contact, grazie all’ottimo lavoro di Massimo Casula coadiuvato da Riccardo Wagner e da Federico Milani che dirigono i seniores,  in una specialità certamente difficile e assai diffusa, siamo riusciti nell’impresa di portare in finale ben 5 atleti, ma  4 sono stati fermati più dai giudici che dagli avversari e solo una ha conquistato l’oro, Carmela Abbate , atleta che merita una menzione speciale. Speciale perché la piacentina , nei  55 chili,   aveva precedentemente  vinto l’oro anche nel semi-contact (che dalla prossima edizione degli Europei di Bucarest, verrà chiamato ormai ufficialmente ‘point fighting’ come ha deliberato il direttivo della Wako a Bratislava). E con largo margine! Saltato il primo turno per sorteggio, ha però battuto la britannica Amber Jones nei quarti, l’ungherese Dorina Szabo in semifinale ( e battere un’ungherese nel point-fighting è già di per sé una credenziale) e infine l’irlandese Nicole Bannon (altra bella scuola, quella dell’Irlanda). Non ha avuto il tempo di rifiatare, che già doveva  sostenere la finalissima anche nel light (dove aveva sostenuto già 3 incontri) contro un’altra tosta  inglese Paris Jackson. Si vedeva che Carmela era un po’ stanca e che  l’inglese sembrava più tonica e potente. Ma qui è uscita tutta l’intelligenza dell’italiana che tirando da sparagnina, centellinando le forze (“un’operazione chirurgica” – l’ha chiamata Gianfranco Rizzi, suo   maestro) e soprattutto facendo il minimo indispensabile, ha portato a casa la vittoria. Ed è stato proprio grazie al suo esempio che mi sono permesso di consigliare ai tecnici di Light contact di allenare di più, in futuro, i nostri specialisti  di light al ‘point fighting’!
Mi sono riservato di parlare per ultimo dei risultati dello straordinario gruppo di semicontactisti che abbiamo presentato a Bratislava perché occorre rimarcare che i tecnici Roberto Montuoro, Giorgio Lico, ma oserei dire  tutti coloro che erano nella capitale slovacca, da Rizzi a Traina, Da Milani a Leonardi, da Lanzilao a Ciolino e Del Gaudio (tanto per citare quelli che mi vengono in mente in questo momento) hanno preparato i nostri giovani in maniera esemplare, e a tutti  loro va il mio plauso personale. Siamo stati un vero squadrone e che forse ha raccolto anche meno di quanto ci aspettassimo  (mi riferisco per esempio alle due bravissime sorelle Lanzilao che hanno purtroppo perduto quando invece ci avevano   abituato a vittorie sonanti), ma che alla fine è riuscito nell’impresa di riportare l’Italia al primo posto al mondo in questa specialità dopo che negli ultimi anni eravamo stati superati dalla fortissima Ungheria! Parlare di ciascuna delle 13 medaglie d’oro sarebbe in verità troppo lungo, ma desidero spendere due parole per quelli che a mio avviso sono i due giovani mostri più speciali che abbiamo in questo momento: mi riferisco al piacentino Davide Colla, allievo di Gianfranco Rizzi, e di Matteo Milani, figlio d’arte di Federico . Del primo, ho già detto molto nel corso dell’articolo sugli Italiani degli sport da ring di Milano dove Davide aveva vinto nel full contact. Il che è tutto dire. Pensate che a Bratislava, nel primo incontro contro l’ irlandese Aron Oconner , che gli ha tirato una gomitata, Davide ha rischiato di essere messo fuori per ferita. Si era  aperta infatti  l’arcata sopraccigliare. Ma anziché tirarsi indietro, Davide ha tirato fuori tutto il carattere che ha e ha rifilato cappotto (una differenza di 10 punti) all’avversario. La sua marcia poi verso l’oro è stata trionfale: l’inglese Arjun Duly nei quarti, quindi ha regolato  l’ungherese Richard Kiss in semifinale e ha dato cappotto al russo Maxim Fadeev  in finale. Un vero talento. Come lo è certamente Matteo Milani, un ragazzone di quasi un metro e novanta che usa le gambe meglio delle braccia. Possiede infatti , grazie ai geni che gli ha trasmesso certamente il padre,  una flessibilità naturale notevolissima. Calcia alla Bill Wallace, ma  è migliorato molto anche nelle tecniche di pugno, nel blitz e soprattutto nella gestione della gara. Più sicuro di un tempo, più convinto dei suoi mezzi, Matteo  è stato anche un pilastro nella squadra   juniores che é arrivata a disputare la finale contro la seconda squadra italiana ( a testimonianza del dominio assoluto in questa specialità). Mai avevamo vinto tanto. Ma se abbiamo vinto, lo ripeto, è proprio perché abbiamo seminato bene, abbiamo gestito bene gli atleti, abbiamo fatto un vero e proprio gioco di squadra. Risultati di questa portata non sono opera del lavoro di una sola persona, ma di un grande lavoro corale, di una grande  organizzazione. Quello della nostra  Federazione. Grazie ragazzi. Siete proprio una bellezza!

Ed ecco tutti i risultati.

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