06/11/2012 - 14.10

CHE SORPRESA LA TURCHIA!

gruppo

Ankara ha ospitato la prima parte degli Europei Wako

CHE SORPRESA LA TURCHIA!

In un nuovissimo palasport magnificamente addobbato per l’occasione, la massima prova continentale ha avuto uno straordinario successo.

di Ennio Falsoni

Penso che tutti sappiano che la Turchia sta faticosamente tentando di entrare nella Comunità Europea da tanti anni, senza per questo  riuscirci, e che nel frattempo è diventata una grande potenza sia militare che economica. Con i suoi 70 milioni di abitanti, quanti ne ha la Germania, il paese che diede vita ad uno degli imperi più grandi della storia e che ha poi lasciato tracce della sua cultura in tutta l’Europa meridionale, è diventato un concorrente temibilissimo della stessa nei commerci, nei manufatti e, dopo gli Europei che ha recentemente ospitato, anche nella…kickboxing. La Federazione turca, guidata da Salim Kayici infatti, dopo che si era assicurata l’organizzazione di una parte degli Europei di quest’anno e dei Mondiali del 2013 che svolgerà in Antalya, ha lavorato molto e bene, riuscendo a mettere insieme una squadra nazionale agguerritissima  che, sostenuta  in maniera rumorosa e vibrante dalle sue tifoserie, è riuscita nella storica impresa di issarsi al secondo posto per nazioni dietro l’inarrivabile Russia, su 36 paesi partecipanti. Davvero complimenti vivissimi a loro sia per i risultati conseguiti che per la perfetta organizzazione di questa edizione degli Europei che ha riscosso i più ampi consensi e che ha lasciato ricordi indelebili nelle menti di chi ha avuto la fortuna di parteciparvi, sia per la cortesia e la disponibilità degli organizzatori che si sono fatti in quattro per soddisfare qualunque esigenza, che per l’efficienza e la puntualità in qualunque occasione.

Il palasport Salonu (sede abituale della federazione nazionale di Basket), dove si sono tenuti gli Europei,  di per sé un piccolo gioiello, fatto di vetri e acciai, leggero, ampio, luminoso, perfettamente allestito con 3 ring e 2 tatami per dare spazio ai 550  incontri di Low-kick, K1 e Light Contact che si sono svolti sulle loro superfici nelle 5 giornate di gare, è stato il luogo ideale della grande kermesse continentale che ha visto ai nastri di partenza il meglio della kickboxing mondiale (con qualche eccezione, l’Europa vanta oggi i migliori atleti negli sport da ring della Wako). La posta in gioco, specie nella Low-Kick , era infatti il biglietto per San Pietroburgo dove, nell’Ottobre del 2013, si terrà la seconda edizione dei World Combat Games, in pratica l’Olimpiade  di sport come il nostro, la massima aspirazione per qualunque atleta. E che nessuno si sia poi risparmiato sui quadrati di Ankara , era nelle aspettative , ma alcuni hanno veramente trasceso ogni aspettativa, come il francese Edouard Bernadou, di Montpellier, alla sua prima apparizione “chez Wako”, ma che ha battuto tutti alla ‘sua maniera’, ossia avanzando sempre sugli avversari in guardia serratissima, portando tutti a battersi con lui alla corta distanza, e quindi piazzando calci alle gambe fulminanti e potentissimi ganci al tronco e al volto dei suoi avversari. E’ partito dai sedicesimi Edouard battendo agevolmente l’ungherese Zoltan Laszak al primo turno, quindi negli ottavi, piegando di misura, in un match serratissimo, il  pur bravo croato Luka Tomic, allievo dell’amico Marko Zaja, quindi demolendo il   fortissimo russo Anatoliy Moiseev in semifinale e mettendo K.O. (alle gambe) un altro temibile e forte atleta, il turco Yahya Alemdag in finale. E’ stato un vero spettacolo osservarlo in azione, soprattutto mi ha colpito la sua incredibile forza mentale che lo ha tirato fuori anche da momenti difficili. Penso che a lui debba andare la palma del miglior atleta di questi Europei di Ankara, ed è per questo che – mi scusino gli azzurri -, ho voluto parlare subito di lui.

La squadra azzurra, coi suoi 43 atleti,  era la terza per numero di atleti partecipanti (dopo Russia e Turchia nell’ordine),  anche se  ben 3 risulteranno assenti all’ultimo momento rispetto ai   convocati e  per motivi diversi. Una bella compagine, ben allenata dai diversi tecnici (Wagner e Milani per il Light; Rizzoli e Bergamini per la Low-Kick e Iannelli-Alberton per il K1), che alla fine del torneo riuscirà a portare a casa un bel numero   di medaglie da posizionare l’Italia al sesto posto assoluto   nella speciale classifica per nazioni, classifica che avrebbe potuto farci piazzare al primo posto nel Light Contact (sarebbe stato un risultato ‘storico’!) e tra le prime 4  nel computo totale se solo non ci fossimo lasciati sfuggire un paio di medaglie d’oro che gridano ancora vendetta.  E parliamone subito allora.

Credo che la più grande delusione ( per l’atleta, ovviamente, ma anche per noi), sia venuta dalla sarda Valentina Cabras  nei 48 chili di Low-Kick , che  dopo aver battuto la francese Denos Magali in semi-finale, abbia gettato alle ortiche l’oro della finale  contro la russa Maria Krivoshapkina, una nostra vecchia conoscenza, allieva di quel Mark Meltzer di Mosca che è stato per alcuni anni ai vertici della Federazione russa. Probabilmente Valentina non conosceva Maria e il fatto di trovarsi di fronte ad una russa, deve averla condizionata oltre misura, sapendo che in genere sono davvero ottime e tostissime atlete. La Krivoshapkina è un fuscello di ragazza, più alta di Valentina ma esile, che di fatto combatte  avanzando sempre, mettendo  pressione, ma i cui colpi sono più da lightcontactista che da atleta del ring. Ossia, non fanno male. Ma Valentina era tesa, molto contratta quel  giorno, e non lasciava partire i colpi, sbracciava, era fuori misura e mai, dico mai una volta che abbia tirato un colpo dritto, specie di sinistro, colpo che poteva stoppare l’avanzare incessante dell’avversaria! Nonostante abbia davvero tirato senza ragionare, Valentina si è trovata addirittura in vantaggio a 20 secondi dal termine (anche se esiguo). E’ bastato che i giudici assegnassero un paio di punti alla russa a pochi secondi dalla fine dell’incontro  e…la frittata era servita. La povera Valentina è scesa piangente dal ring ed è andata avanti a piangere ancora per tanto tempo in modo inconsolabile. Peccato veramente, perché un’occasione così sarà difficile che si ripeta con delle atlete russe!

La seconda medaglia d’oro, anziché quella d’argento,  poteva venirci da Roberta Cargno nei -70 chili femminili di light contact. In una categoria numerosa, passato il primo turno per sorteggio, regolato la ceca Veronika Kohutova nei quarti e l’aggressiva ma grezza turca Methap Uzunoz in semi-finale, Roberta si è trovata di fronte ad un osso duro, la plurititolata Ana Znaor, figlia dell’ex presidente della Federazione croata, che  pare non sappia tirare un pugno dritto, ma in compenso ha gambe veramente eccezionali e sulle quali basa la sua efficacia (tanto che ora vuole tentare la via del Taekwondo olimpico, anche perché  chi ottiene medaglie olimpiche ha pensioni sportive molto accattivanti in Croazia!). Roberta è più bassa di statura della Znaor che ha leve lunghissime, e ciò nonostante anche lei si trovava in lieve vantaggio a pochi secondi dal termine dell’incontro quando è incappata nell’ultimo calcio utile dell’avversaria per rovesciare completamente il risultato. Una vera iella, anche se nei casi di grande equilibrio come questo  i tecnici danno la colpa ai soliti giudici incompetenti…

La terza  possibile medaglia d’oro mancata – per così dire – è quella del trevigiano Alex Rossi (ma qui non potremmo  pronunciarci in verità, perché l’avversario, il russo Ruslan Magomedov, pesa almeno 20 chili più di lui!).

Alex, che pesa intorno ai 98 chili, ha voluto gareggiare tra i supermassimi  dove ha splendidamente figurato. Saltato il turno perché risultato il numero 2 del tabellone, Alex ha superato il temibile  bielorusso Valiantsin Slavikouski  nei quarti di finale e, giunto in semifinale, aveva di fronte un altro gigante nel polacco Michal Turynski che aveva chiuso in vantaggio la prima ripresa contro di lui. Nella successiva  Alex ha cominciato a mettere il turbo   piazzando a più riprese  il suo bel calcio circolare sinistro al corpo e potenti e precisi diretti e ganci al volto dell’avversario che ha poi battuto agevolmente, ma pagandone alla fine un prezzo altissimo. A caldo sembrava non risentire dei tremendi colpi  subiti e portati, ma una volta in  albergo ha provato persino ad immergersi nell’acqua ghiacciata per recuperare, ma la sua tibia  sinistra era conciatissima e gli faceva male. Inutile battersi in finale quindi quando sapeva   di non poter usare le sue armi migliori e ha desistito, lasciando via libera al russo  Ruslan  Magomedov che, per la cronaca, dopo aver battuto il francese Jeremy Damon al secondo turno, aveva vinto senza più colpo ferire a causa dei forfait dei suoi avversari sia in semi-finale che in finale! Bella fortuna la sua!

Accennavo prima agli splendidi risultati del Light Contact dove abbiamo rischiato di finire al primo posto. Ebbene va elogiato il grande lavoro dei tecnici, ovviamente, perché tutti gli atleti si sono davvero fatti onore mettendocela tutta, anche quando poi sono risultati perdenti, e per poco, come nel caso  di Andrea Chianese e  Simone Barbiere che sono usciti al primo turno  perdendo per 1-2 rispettivamente  con l’ucraino Anton Zubov e l’ungherese Laszlo Anda. Negli sport da combattimento, l’aspetto psicologico e  la determinazione  nel ricercare la vittoria, sono  di vitale importanza, soprattutto quando magari manca il fondo atletico o ti vengono meno le energie. Ecco, l’animus pugnandi  c’era in tutti e questa carica ha spesso fatto la differenza. Essa è  mancata invece solo  nel pur bravo Manuel Nordio, nei 63 chili, che dopo aver battuto al primo turno  lo svizzero Matthias Jenni, ha praticamente issato bandiera bianca al secondo quando si è trovato di fronte al russo Alexandre Bakirov, campione del mondo in carica. Si è come rassegnato alla sconfitta prima ancora di battersi. Forse sapeva che avrebbe perso comunque, ma non si è impegnato per nulla e la cosa mi è anche un po’ dispiaciuta. Un’altra delusione mi è venuta dal nostro plurititolato e veterano di tante battaglie come Andrea Primitivi, anche lui fuori al primo turno per opera del croato Goran Baksic in una categoria che lo aveva visto primeggiare tante volte (i 79 chili), dalla quale, finalmente, se n’era andato l’insuperabile fuoriclasse Zoltan Dancso. Insomma, poteva essere il suo anno, e invece Andrea – che non combatteva a certi livelli da tanto tempo -, proprio non c’era ad Ankara. Risultava sempre fuori tempo, prevedibile e , soprattutto, si è infortunato quasi subito (leggero stiramento alla coscia destra) che deve averlo condizionato. Chi invece mi è piaciuto molto è stato il giovanissimo Michele Mountady che numero 2 nei 79 chili, è stato fatto gareggiare negli 84 dove attualmente ci sono atleti che lo sovrastano per stazza e allungo. Mountady ha superato  il macedone Oliver Trpkovski al primo turno e il turco Yavuz Selim al secondo, ma in semi-finale era praticamente chiuso dal fuoriclasse tedesco Stephan Bucker. Il tedesco era largamente avanti di punti quando nella seconda ripresa si è infortunato ad un piede. Aveva fatto tutto da solo, ma si è ritrovato a urlare per il dolore di una probabile frattura al metatarso. E’ stato così costretto al ritiro dando il via libera a  Michele  per la finale. Qui però non  aveva scampo contro Zoltan che ha vinto in carriera già 6 titoli mondiali e 5 titoli europei. Una leggenda. Ma l’anno prossimo Mountady vuole prendere il posto di Primitivi e chissà che non ce la faccia. Per finire coi maschi, scorrendo i tabelloni, notiamo le sconfitte al primo turno di Cristian Lubrano e di Gianluca Guzzon, mentre segnaliamo la bella medaglia di bronzo di Simone Finocchi che dopo aver vinto al primo turno con Olekseii Danshin, ha perso di misura contro il tedesco Fabian Fingerhut in semi-finale. Ancora una volta, l’oro in questa specialità  è venuto dalla catanese Valeria Calabrese nei 50 chli e dalla romana  Diletta Faiola negli oltre 70 chili, dopo che Adriana Tricoci è uscita al secondo turno e Martina Marson si è fermata in semi-finale contro la russa Miroshinencko. Di Valeria non sappiamo più cosa dire e quali altri aggettivi usare. E’ grandissima per l’intelligenza con cui si sa adattare alle avversarie. Prediligendo essere attaccata più che attaccare per prima, per essere una formidabile incontrista, Valeria ha sofferto un po’ contro l’inglese Monika Markowska al primo turno. Probabilmente l’inglese la conosceva bene e non si azzardava proprio a partire per prima. Così il match era sì pieno di tensione psicologica, ma non si vedevano belle azioni.
Valeria ha portato a casa l’incontro sprecando meno energie possibili. E facendo solo l’indispensabile. Dove invece si è sbizzarrita tecnicamente, impartendo una vera lezione all’avversaria, è stato al secondo turno, ossia in semi-finale,  contro la francese Marina Lievrouw che è partita all’attacco in maniera spavalda ed esuberante, ma finendo per subire ogni genere di colpi. E arrivata in finale ancora una volta, Valeria è stata attenta a prendere subito il centro del quadrato e a non lasciare scampo all’avversaria. Davvero brava la nostra atleta che è ormai un’icona di questa specialità, apprezzata da tutti anche per la sua umiltà. Della nostra seconda medaglia d’oro, quella di Diletta, ho francamente visto poco perché mi ero dovuto assentare.
Ma avevo notato che per una volta era l’atleta azzurra che superava in altezza l’avversaria, piuttosto bassa a tarchiata per essere un’ungherese. Francamente pensavo tra me che sarebbe stato impossibile perdere quell’incontro e così è stato  perché questa giovane romana possiede oltre a un bel fisico, mobilità, tecnica e scelta di tempo. Complimenti vivissimi anche a lei!

E sempre a proposito di fisico: che dire di Luigi Vullo, veterano nei 63 chili di Light, che dopo aver battuto agevolmente il russo Vener  Khamatgareev in semifinale, si è trovato in finale di fronte il danese Thomas Jensen  di 30 centimetri più alto di lui? Ovviamente, anche a parità di tecnica, in quei casi si perde, com’è puntualmente avvenuto. Sempre tra i veterani, peccato per l’oro mancato dell’emiliano Nicola Bertolotti   nella finale dei supermassimi contro il russo Ilya Shalumov  perché era veramente alla sua portata. E’ stato un testa a testa serratissimo sino alle ultime battute. Bertolotti è stato superato proprio sul classico filo di lana quando pensavo potesse vincere. Sarebbe bastato un pizzico di condizione fisica in più e ce l’avrebbe fatta.

Premetto per i miei lettori che se  questa volta mi sono allargato in questo articolo, è anche perché avevo una postazione  al palasport sempre al centro dei principali quadrati e bene o male sono riuscito a seguire quasi tutti gli incontri dei nostri azzurri. Detto della Cabras, nella Low-Kick c’è subito da parlare di un’altra atleta sarda  su cui puntavamo tutte le nostre carte per un posto a San Pietroburgo. Parlo di Valentina Murgia, 52 chili (una delle categorie di Sportaccord)  che tutti davano tra le favorite. Solo che nel corso di un allenamento la sera prima dell’inizio dei campionati, Valentina si è stirata i legamenti del ginocchio sinistro, se non vado errato.  Ha combattuto egualmente contro la russa Svetlana Ananyeva,  ma non c’è stato niente da fare e anche per lei è rimasto solo un grande rammarico. Giulia Grenci  nei 60 chili si è anche ottimamente comportata, battendo al primo turno Stefica Bubnjaric , ma è stata superata al secondo dalla polacca Kinga Siwa. Come in passato, a tenere alto l’onore delle donne in questa specialità ci ha pensato la pescarese Mimma Mandolini, allieva di Riccardo Bergamini, che passato il primo turno per sorteggio nei 65 chili , ha battuto la ostica atleta turca Sema Fatma Okansoy in semi-finale. Giunta in finale ha ritrovato la russa Svetlana Kulakova, bionda e alta, che con le sue lunghe leve e la sua aggressività l’ha messa in difficoltà e ci ha perso.

Tra gli uomini, da segnalare la medaglia di bronzo del piemontese Ivan Sciolla, apparso un po’ evanescente sul ring contro  l’azerbaigiano Ramiz Mammadov al limite dei 51 chilogrammi; il bronzo di Roberto Palestini che ha perduto contro il russo Vadim Chasovskikh nei 54 chili. Ma soprattutto la brillante prova del bergamasco Elio Pinto che è stato sfortunato nel sorteggio. Elio è in possesso di un’ottima impostazione pugilistica e ha ormai ben assimilato, per lui che viene dal full contact, gli automatismi della Kick. Ha battuto ampiamente l’austriaco Gruber Martin al primo turno nei 60 chili, ma al secondo gli è toccato un fuoriclasse, il russo Zurab Faroyan che lo ha effettivamente superato per brillantezza tecnica e fisica più che per potenza dei colpi. Molto mobile sul ring, fantasioso, Faroyan ha finito poi per vincere a mani basse tutti gli altri suoi incontri, compresa la finalissima contro il bielorusso Dzianis Tselitsa.

Nel K1 vi è stata grande battaglia tra le nazioni notoriamente più forti come la Russia, la Serbia, la Bielorussia, l’Ucraina.  Tra gli azzurri mi è piaciuto molto Andrea Tavoletta che in una categoria molto affollata è riuscito ad issarsi sino alla semifinale battendo prima il macedone Boban Lukach al primo turno, quindi il bulgaro Asen Asenov al secondo e perdendo, solo contro il filiforme portoghese Pedro Koll nella semi-finale appunto. Tavoletta,  atleta giovane dal fisico longilineo e secco, ha dimostrato di possedere un bel temperamento oltre che un discreto bagaglio tecnico e a mio avviso avrà un bel futuro. Mi è dispiaciuta l’uscita al primo turno di Antonio Campagna, di Luca Donadio, di Wladimiro Laghi  tra gli uomini e tra le donne, quelle di Martina Bernile. Ma Jacopo Scaringella, del Body Fight di Massimo e Paolo Liberati (che lo ha seguito all’angolo) ci ha ridato speranze nei 75 chili perché batteva  nei quarti lo svedese Jonas Granhage e perdendo ai punti solo in semi-finale contro il turco Ferhat Arslan, dimostratosi più potente specie di pugno. Così come da elogiare sono sia Teresa Parasporo (56 chili) che  la toscana Paola Capucci (60)  che Caterina Curro’ per aver perduto solo in semi-finale, rispettivamente contro l’ucraina Olga Nabieva , la svedese Maria Olsson e la polacca Kamila Balanda. Tra le donne, l’atleta che più mi è piaciuta per grinta, potenza e tecnica è stata la romagnola Annalisa Bucci, allieva di Fabio Corelli, che ha avuto la meglio sulla turca Dilek Yucel in semi-finale dopo una grande battaglia che le è costata una sorta di torcicollo.  E’ intervenuto anche Federico Milani come fisioterapista, ma Annalisa sembrava non essere al meglio contro l’ungherese Boglaka Brunner in finale. L’avversaria sembrava più pimpante di lei, sembrava avere cioè maggior energie dell’italiana, ed è solo per questo  che ha prevalso. Ma l’aver centrato l’argento per Bucci alla prima uscita con la nazionale, è un bel biglietto da visita.

In questa difficile specialità, dove sostanzialmente chi aveva un’esperienza di Muay Thai poteva essere avvantaggiato, chi invece ci ha portato l’oro è stato il livornese Valerio Masi, allievo di Massimo Rizzoli che lo ha seguito all’angolo insieme a Giorgio Iannelli.
La cosa incredibile, a mio avviso, è che Valerio è sempre partito male, nel senso che subiva quasi sempre l’avversario nella prima o nella seconda ripresa, e poi compiva il recupero nell’ultima ripresa, quando sembrava spacciato. Insomma, seguirlo anche da lontano come sono costretto a fare per il mio ruolo, ha significato rischiare le coronarie. Valerio era in una categoria molto agguerrita. Ha battuto al primo turno l’austriaco Memisevic Jaasmin, quindi il polacco Pawel Gierzynski nei quarti, il turco Mehmet Nadir Unal in semi-finale e il croato Ognjen Topalovic in finale che era stato in vantaggio per le prime due riprese. Non a caso, Marko Zaja si è messo le mani nei pochi capelli che sono rimasti anche a lui. Grande Valerio dunque  e grazie per questo splendido oro che ha regalato all’Italia! Ed ora, tutti gli occhi sono puntati a Bucharest dove si svolgerà l’ultimo atto di questi Europei 2012.