16/11/2015 - 22.51

Due parole con…Cristina Caruso!

Cristina Caruso inizia a praticare la Kickboxing nel 2010 a 24 anni, tardi per sperare di diventare agonista. Dalla vittoria dell’8° Star Full Contact ad Oslo fino al mondiale di Kick in Serbia, passando per l’incontro con in palio il titolo Europeo Pro di Full Contact disputatosi a Milano ad Ottobre, Cristina vince con impressionante ritmo e continuità, zittendo chiunque.
 Frequentiamo la stessa palestra di combattimento e mi dico che forse c’è materia per farle qualche domanda. Nella lunghissima chiaccherata al tavolo del bar scopro con sorpresa che è anche appassionata di pallacanestro.

La prima domanda va alla tua passione per il basket che non sospettavo, sei più ferrata di quanto credessi.

CC: A me piacciono tutti gli sport o quantomeno amo praticarli, ma il basket è qualcosa che mi ha accompagnato fin da ragazzina: mio fratello è un tifoso di Milano dai gloriosi tempi di Bodiroga e Fučka e mi trascinava alle partite che io lo volessi o meno.
 La sua camera era tappezzata di poster trovati su Superbasket, quello di Pozzecco però glielo avevo rubato per metterlo nella mia.
 L’NBA è sempre stata difficile da seguire perché in casa ai tempi non avevamo il satellite, tante cose le abbiamo viste in differita su videocassete che arrivavano a casa tramite amici. Non saprei dire come ma i Celtics erano la squadra di casa, quando gli altri erano tutti sul treno dei Bulls.
 Ora, con tutti i miei impegni agonistici,non ho davvero tempo di stare dietro all’intera stagione, ma ai playoff do sempre uno sguardo. Quando nel 2008 siamo arrivati alle Finals ho fatto le nottate sveglia con mio fratello ed abbiamo festeggiato.
 Adesso per i Celtics è un periodaccio.

Tu però sei in grande forma, questo 2015 è stato un anno davvero incredibile: hai vinto tutte le competizioni a cui hai partecipato ed il tuo palmares mette soggezione.
 A parte l’abnegazione verso l’allenamento fisico e tecnico, tu ed il tuo staff come preparate strategicamente gli incontri, specie se così ravvicinati?

CC: Personalmente non amo guardare i video degli avversari, ma solo perché questo è uno sport molto situazionale e lo stesso avversario può essere incline a diversi approcci a seconda degli incontri. In più i video spesso non sono datati, oppure documentano il tuo avversario in discipline diverse. La Kickboxing è un grande contenitore all’interno del quale si possono perseguire diverse specializzazioni, ad esempio la ricerca del KO è un elemento del quale tener conto nel Full Contact, ma è penalizzato dal regolamento nella Kick Light dove invece si ricerca la pulizia del gesto tecnico.
 Lo studio strategico c’è sopratutto da parte dei coach, ma io preferisco non fossilizzarmi sullo studio di tecniche esclusivamente in base alle avversarie che incontro.
 Amo combattere come dico io, con miei ritmi. Questo in passato mi ha portato a fare degli errori di valutazione e a perdere quando ho cercato di impormi a tutti i costi, ne ho fatto tesoro e ora sono più brava nel leggere quello che mi offre l’avversario ed a far emergere il mio stile quando è più efficace.

Ho avuto il piacere di essere presente la sera in cui hai vinto il titolo Europeo Full Contact. Sul ring sembri dominare tutti gli aspetti sia fisici che mentali e concedi anche qualche momento di spettacolarità tecnica, ma su cosa fai più affidamento quando sei sotto stress?

CC: E’ la mia capacità di svuotare la testa e resettare velocemente per poi ripartire da un’impostazione corretta. Mi sono educata nel tempo a questo esercizio, subire un colpo e non farsi prendere dal panico o dalla foga di voler recuperare, lascio fuori le interferenze per permettere solo al match di entrare.
 Serve quando stai subendo ma anche quando sei in vantaggio, per evitare di perdere il controllo.
 Si chiama Mindfulness, ho trovato il mio personalissimo modo per raggiungerlo attraverso la routine del riscaldamento, comincia tutto da lì.

Qual è il tuo rapporto con il tuo coach Omar Vergallo?

CC: A Omar devo il 100%, mi ha sostenuta e dato la fiducia che mi serviva per arrivare fino a qui. Quando sono entrata nel suo corso come esperienza di combattimento avevo solo le lotte con i miei fratelli e i gli altri bambini del quartiere, in cui comunque dominavo indiscussa (ride). Lui ha saputo vedere in me il potenziale che c’era e ci ha creduto fino in fondo.
 Per me che ho mantenuto sempre un atteggiamento da ribelle, potermi fidare di qualcuno incondizionatamente è stato un grande cambiamento nella vita.
 Adesso ti faccio ridere: quando ho vintoil torneo in Norvegia, dove la kickboxing è una professione, ci hanno dato una scheda da compilare con i nostri dati alla fine della quale c’era la voce “hobby”. Io e gli altri italiani, che avevamo preso le ferie dal lavoro per poter partecipare, ci siamo chiesti se in quel campo avremmo dovuto mettere “kickboxing”.
In Russia è una professione, in Ukraina ti danno un lavoro se vinci, in Turchia ti danno 30000 euro se vinci come atleta nazionale, in Italia ti danno le pacche sulle spalle.
 Ora, nella nostra squadra, gli atleti che gareggiano hanno accesso gratuito alla struttura della palestra. E’ un grande gesto da parte di Omar, sopratutto a fronte del fatto che vivere esclusivamente della propria carriera agonistica, in questo sport, è impossibile in Italia.
 Non mi pesa essere l’esempio di questo “patto” tra la Ludus Magnum e i suoi atleti di punta; il mio impegno verso Omar era lo stesso anche quando dovevo pagare l’iscrizione, ora il peso in meno ce l’ho io (ride). Ci tengo molto, mi piace sorridere, dire cose vere e restituire tutto quello che mi viene dato, qui ci sosteniamo tutti l’uno con l’altro.
 Omar crede disperatamente in questo sport e cerca di rimediare a tutto, anche finanziariamente: quello che fa ha un valore umano immenso per chiunque faccia parte di questa squadra.

In Italia se non è calcio non interessa alle grandi masse ma, solitamente, quando arrivano grandi risultati da parte di atleti che rappresentano la Nazionale un piccolo raggio di sole bacia anche altri sport. Nonostante l’incredibile susseguirsi di risultati che dura ormai da più di un anno, questo a te non è successo. Perché?

CC: Non lo so, io personalmente non cerco visibilità e forse è un errore, fosse anche per un moto di orgoglio. Quando cerco di promuovere gli incontri lo faccio più per la palestra e per chi ha fatto la fatica di organizzare l’evento.
 Poi mi rendo conto che anche alcune delle persone che ho intorno, o che incontro, non si rendono bene conto di cosa sto facendo. Quando parlo di titolo italiano o di titolo mondiale, spesso la reazione che colgo non è adeguata. La cosa non ferisce necessariamente me, ma dà la misura di quanto viene considerato questo sport.
 Inoltre c’è la volontà di etichettarci per forza come “violenti”, ma la violenza è una cosa differente, noi seguiamo delle regole precise che fanno in modo che la violenza rimanga completamente fuori da questo sport.
 Un calciatore che entra volontariamente sulla gamba invece che sulla palla è violenza, noi combattiamo all’interno delle regole e poi, da regolamento, a fine incontro onoriamo e abbracciamo i nostri avversari e gli arbitri.
 Vorrei davvero che le persone cogliessero l’occasione di venire a vedere più incontri dal vivo; è capitato che avessi dei riscontri estremamente positivi da parte di amici o conoscenti che non hanno nessuna familiarità con questo sport ma che vedendoci sul ring hanno risentito un’emozione vera, fisica.
 Ora come ora siamo relegati all’una di notte su Raisport 2 e spesso hanno cambiato all’ultimo momento il palinsesto sostituendo la diretta di un torneo o di un incontro di combattimento magari con la replica del Giro d’Italia del 1992. Sembra assurdo ma è successo davvero.
 Con queste politiche non si va da nessuna parte.
 Forse da parte di molti c’è un rifiuto a comprendere ed apprezzare il significato della lotta. Se hai sempre avuto tutto non hai dovuto combattere per ottenere nulla, quindi è possibile che per alcune persone guardare due combattenti non significhi davvero nulla.

So che insegni Kick Boxing alle classi di bambini della tua palestra. La formazione allo sport attraverso le discipline di combattimento, durante l’infanzia, è ancora guardata con sospetto in Italia, ma qualcosa si sta muovendo.

CC: L’insegnamento ai bambini è estremamente gratificante, mi sono laureata in Scienze motorie anche per questo, ed è qualcosa che voglio continuare a fare.
 Con le classi di bambini più piccoli non insegno strettamente Kickboxing, ma più avviamento allo sport, coordinazione, equilibrio ed imparare a relazionarsi con i compagni e con il maestro.
 Nonostante possa sembrare uno sport individuale, il combattimento non può essere allenato senza la presenza di altri individui.
 Quello che tiene lontano molti genitori è l’associazione con il concetto di violenza, e non c’è niente di più lontano dalla verità. Gli aspetti principali che si insegnano sono il rispetto di se stessi, degli avversari e la disciplina del corpo e della mente.
 La mia tesi di laurea era focalizzata sull’approccio pedagogico a questo sport. E’ un percorso di educazione e talvolta anche di rieducazione per tutti i soggetti, io per prima attraverso questa disciplina sono riuscita a canalizzare la rabbia che mi portavo dentro e a ritrovare un equilibrio sano.
 Quando la mia carriera da agonista sarà conclusa continuerò comunque ad insegnare, perché sono profondamente convinta che lo sport sia un’educazione positiva e che si debba alimentare in ogni modo la propagazione dei suoi effetti benefici.
 Lo sport ti dà una possibilità di competere, di vivere, in contrasto con la società di oggi che genera individui con una mentalità perdente prima ancora che abbiano avuto l’occasione di cimentarsi in qualcosa.

Hai vinto molto, quasi tutto, nelle competizioni legate alla Kickboxing, hai in progetto di cimentarti con nuove discipline?

CC: Con questo titolo mondiale ho decretato la fine delle mie attività nella Kick Light. Al momento il Full Contact è quello che mi si è incollato addosso. Lo provai quasi per gioco, facendo un primo match contro la titolare della nazionale con cui ho ottenuto il titolo Italiano. Ora è sicuramente la cosa su cui mi voglio concentrare.
 Attualmente nel Full Contact sono ancora imbattuta, e un anno come questo non si ripeterà.
 Il limite delle corde del ring, a differenza del tatami, ti mette nella condizione di dover per forza affrontare il tuo avversario ma anche te stesso. Non è per tutti ma a me piace e non voglio tornare indietro.
 Poi Judo, Karate, Brazilian Jiu-Jitsu sono tutte discipline che mi piacciono, voglio provare tutto quello che posso.

Pronostico per quest’anno: chi vince il titolo NBA?

CC:Ho un debole per le storie di vendetta, credo che LeBron e Cavs strapperanno il titolo dalle mani di Stephen Curry, l’anno scorso sono stati eroici ad arrivare fino in fondo ma avevano troppi giocatori infortunati. Poi speriamo che i Celtics si riprendano!

Estratto da http://www.nba-evolution.com/2015/11/12/la-campionessa-italiana-che-non-fa-rumore/