02/11/2011 - 16.40

MONDIALI WAKO A SKOPJE DA RECORD

kl2

Per gli italiani, vincere una medaglia è:

SEMPRE PIU’ DURA

826 atleti partecipanti dai 5 continenti, in rappresentanza di 57 nazioni. Un livello tecnico altissimo, una lotta terribile per arrivare in alto. Ma l’Italia conquista 2 ori, 5 argenti  e  7 bronzi. Niente male comunque.

di Ennio Falsoni


Ljupco Nedelkovski  è stato il pioniere della kickboxing in Macedonia (una giovanissima Repubblica nata dalla disintegrazione della Yugoslavia una ventina di anni fa), nonché il fondatore della Federazione che recentemente ha organizzato  la 18a  edizione dei Mondiali Wako nelle specialità Light Contact, Kick-Light, Low-Kick e K1 Rules . Parlo al passato perché, dopo aver organizzato i Campionati d’Europa del 2006 e voluto ardentemente riportare i Mondiali della stessa quest’anno, Ljupco è improvvisamente deceduto ben due anni or sono a causa di un trombo che gli è partito mentre si trovava in ospedale per  una serie di accertamenti clinici all’età di 57 anni.  Davvero un’incredibile fatalità e una grande iattura per tutto il movimento, perché sembrava che il suo sogno dovesse svanire con  la sua prematura scomparsa. Invece la moglie Aleksandra, che ha ereditato il timone delle Federazione macedone,  ha cercato, col nostro aiuto, di onorare la memoria del marito promuovendo l’edizione dei Mondiali di quest’anno secondo tutti i crismi e le aspettative.

Paese certamente povero (bastava del resto guardarsi in giro, recarsi nella parte vecchia di Skopje, dove musulmani e ortodossi convivono sopportandosi vicendevolmente in quartieri fatiscenti) composto di nemmeno 3 milioni di anime di cui 2 che vivono nella capitale, la Macedonia   ha saputo cambiare il volto  della sua capitale negli ultimi anni (anche se in modo un po’ kitsch, con quei suoi monumenti ad Alessandro il Grande che  mi ricordavano analoghe opere viste a Las Vegas…)  e dotarsi, tra le altre cose, di un palazzo  dello sport  da 5000 posti a sedere, ampio, luminoso e  moderno che ha saputo rispondere pienamente alle nostre  aspettative.

E’ qui che la Wako ha portato quasi 1300 persone, di cui 826 gli atleti partecipanti, in rappresentanza di 57 nazioni dai cinque continenti:  un nuovo record per l’organizzazione che dirigo dal 1984. Ho ripetuto spesso che  nella maggior parte dei casi, i numeri sono di per sé eloquenti su molti argomenti, kickboxing incluso. E non posso che ripetermi perché credo che queste cifre la dicano lunga  sullo stato di buona salute della disciplina che ho plasmato nel corso degli ultimi 30 anni e che sta avendo un continuo sviluppo nel mondo. A Skopje sono venuti infatti atleti di paesi nuovi  come la Corea, il Tajikistan, il Madagascar, la Nigeria, l’Egitto (tanto per citarne alcuni) che non avevamo mai visto prima. E che atleti ragazzi!

La disciplina principe di questi ultimi mondiali è stato il K1 con 222 atleti partecipanti, seguito dalla Low-kick con 221. Ma basterà citare che in moltissime categorie di peso vi erano più di 20 atleti, il che obbligava alla disputa di ben 5 incontri per   agguantare l’oro. E quando, negli sport da ring soprattutto, hai di fronte atleti dell’ex Unione Sovietica (russi, bielorussi, Kazakistani, kirghistani, ucraini, moldavi, georgiani), oppure dell’Est europeo (serbi, polacchi, slovacchi, ungheresi, croati, bosniaci) state sicuri che sono cacchi amari per tutti. Ne sanno qualcosa i nostri azzurri, di cui parlerò tra breve.

L’Italia aveva mandato infatti a Skopje ben 45 atleti nelle 4 discipline previste che, insieme a tecnici, arbitri, giudici  e  dirigenti accompagnatori, formavano una delegazione di ben 60 persone, una delle più numerose a questi Mondiali, seconda solo alla Russia. Ma con una sola grande  differenza: mentre gli atleti russi, divisi in anti club, si pagano sempre  da soli – attraverso degli sponsor “privati” -, tutte le loro trasferte, la squadra italiana è tutta sponsorizzata dalla nostra federazione che copre interamente  tutti i costi: dall’aereo all’hotel, dai pasti alle iscrizioni alle gare. Uno sforzo considerevole, tenuto conto che avevamo appena terminato gli Europei di Lignano Sabbiadoro dove gli azzurri impegnati  erano quasi 150!

Che il Mondiale che stavamo per vivere fosse duro, lo si è capito subito dalle prime battute. Molti dei nostri atleti avevano pescato male. Il sorteggio li aveva posti di fronte ad atleti  del blocco dell’est nei primi turni ed era logico che se passavi indenne da quel tipo di griglia, potevi andare sicuramente in medaglia. Ma molti dei nostri azzurri, pur battendosi al limite delle loro capacità e dando il massimo di ciò che avevano a disposizione, non ce l’hanno fatta e sono usciti chi al primo e chi al secondo turno, senza riuscire ad entrare nelle semifinali, come nel caso del pescarese Luciano Nubile che, dopo aver battuto l’ucraino Pavlo Tatarov al primo turno, è stato messo fuori dal croato Zlatko Bajic negli ottavi di finale.

La mia postazione era proprio di fronte a 2 dei 3 bellissimi ring che ci ha messo a disposizione la società cinese Wesing, sponsor del Mondiale, e pertanto ho avuto la possibilità di seguire parecchi incontri sia di Low-kick che di K1 che si sono svolti sotto i miei occhi. E ovviamente  ho seguito anche incontri dove gli azzurri   hanno avuto le loro chance per passare il turno, ma non le hanno sfruttate o, come spesso succede, hanno perduto anche per 1 solo punto di   differenza, il che ha lasciato l’amaro in bocca a più di un atleta, come nel caso di Paola Capucci, un’atleta su cui contavamo e che era una testa di serie nei 60 chili di K1 femminile. Purtroppo è incappata nella marocchina Aicha El Majdy con cui ha fatto match pari per quasi tre riprese. Capucci, ottimamente impostata, è atleta di buona caratura  e capacità tecniche, ma si è visto che era  solo un po’ tesa, contratta e che soprattutto ha  sofferto la maggior irruenza dell’avversaria, piuttosto aggressiva (come tutti i marocchini) ma anche arruffona. Capucci ha perso proprio sul filo di lana ed è stato un vero peccato perché, guarda caso, quella stesa marocchina andrà poi a vincere l’oro battendo la russa Stavrova in semifinale e la svedese Olsson in finale.  La toscana ha finito l’incontro buia come la peste e ha scaricato la rabbia rompendo il vetro che custodisce l’idrante che dava sul  corridoio verso gli spogliatoi…

Qualcosa di analogo  è capitato al sassarese  Fabrizio Lodde  nei 54 chili di K1. Al primo turno gli era capitato il bielorusso Siarmei Skiba, un veterano nella Wako, che ai Mondiali del 2009 in Austria è stato l’avversario di Giampiero Marceddu nella finalissima, poi vinta dall’italiano, ma a grande fatica perché nella terza ripresa  solo il mestiere lo aveva tenuto in vita. Ebbene Lodde è stato sorprendente, ammirevole direi, perché non mi aspettavo che un giovane inesperto come lui a livello internazionale sapesse tirare senza timori reverenziali e mettendo in mostra grande vitalità, ottima scelta di tempo, belle combinazioni che hanno tenuto il match in bilico sino alla fine. Pensavo anzi che ce la facesse, quando a pochi secondi dal termine, ecco che Skiba piazza un paio di colpi che fanno girare il match a suo favore e beffano tutti noi che stavamo assaporando una vittoria per me inaspettata (almeno sulla carta). I tecnici Jannelli e Alberton ovviamente hanno dato la colpa ai giudici di questo mancato successo, ma è chiaro che quando un incontro è in grande equilibrio, tutto può succedere e devo dire che a Lodde è mancato solo un pizzico di fortuna. Davvero buona comunque la sua prestazione e comprensibile il suo pianto al termine dell’incontro.

Diversi atleti hanno recriminato e anche protestato  civilmente per alcuni verdetti, come nel caso del napoletano Davide Messineo nel Light Contact (89 chili) che al primo turno aveva battuto il norvegese Andra Tvedt e al secondo incontrava l’austriaco Juso Prosic, un avversario certamente alla sua portata. Davide si batteva per l’ingresso nella zona medaglie (semifinali) e forse questo pensiero lo ha un po’ condizionato perché non ha tirato come fa di solito in maniera pulita, lineare. Siccome è giovane e focoso, si è lasciato irretire dall’aggressività dell’austriaco al quale ha risposto colpo su colpo e meritandosi per questo dei richiami ufficiali che gli sono costati poi la vittoria. Praticamente in vantaggio per quasi tutto l’incontro, a causa delle penalità, ad un certo punto gli hanno tolto  tutto il vantaggio e  qualcosa di più, tanto che alla fine la vittoria è andata all’avversario. Ovviamente c’è stata subito la protesta scritta dei coach Milani e Wagner che a loro dire avevano tolto non 3 ma 6 punti a Davide, determinanti per il risultato finale. Vuoi per le contraddizioni dell’arbitro centrale, che a un certo punto  si contraddiceva (non ricordava se aveva assegnato 1 o 2 volte la penalità!),  vuoi per l’insipienza dei giudici, fatto è che Messineo viene decretato perdente e senza più appelli. Davvero un peccato!

Dove però sembra ci sia stato un piccolo furto, è  nell’incontro di semifinale tra il nostro Salvatore Messina (94 chili di Kick-Light) e il macedone  Ace Georgievski in cui l’italiano è stato quasi sempre in vantaggio, salvo che verso la fine della terza ripresa dove sembrava che i giudici avessero occhi solo per lui. Francamente, non ho visto quell’incontro, e mi è stato solo riferito di una sorta di…partigianeria per l’atleta di casa che successivamente vincerà anche l’incontro di finale contro lo sloveno Dejan Vajs e aggiudicherà alla Macedonia l’unico oro di questi Mondiali. Bruno Campiglia era talmente infuriato che non ha fatto andare Messina al centro quando è stata decretata la vittoria finale.

Recriminiamo anche per l’inopinata sconfitta del veneto Marco Perissinotto nei 69 chili di Light Contact che dopo aver vinto al primo turno contro il polacco Durma Adrian, al secondo contro il brasiliano  Edson Venturatto e in semifinale avuta la meglio anche sull’austriaco Patrick Kalcher, si è visto sfilare la vittoria finale da sotto il naso per una sorta di…pausa psicologica, del tutto fuori luogo in quel frangente. Perissinotto è sempre stato in vantaggio, ma in vista del traguardo si è come seduto, forse perché pensava di poter controllare l’avversario che invece è rinvenuto e lo ha battuto anche se per un solo  punto! Una jella pazzesca!

Nulla da recriminare invece per il trevigiano Alex Rossi che nei supermassimi di K1 ha compiuto l’impresa, saltato il primo turno perché testa di serie, di battere nientemeno che il bielorusso Valiantsin Slaviskouska per K.O. con una formidabile ginocchiata saltata al volto, quindi l’estone Deniss Smoldarev in semifinale dall’alto di grande mobilità, bei calci circolari al tronco e  ancora ottimo uso delle ginocchia . Arrivato così brillantemente in finale contro il russo Ruslan Magomedov – di almeno 10 chili più pesante di lui -, ha avuto la sfortuna di beccare in pieno il gomito destro dell’avversario  (lui che è mancino)  al  primo calcio circolare tirato con grande  potenza e lì è finito praticamente l’incontro. Incapace di calciare ulteriormente con forza, Alex si è un po’ disunito e ha cercato soprattutto di limitare i danni, lasciando il via libera all’avversario per la vittoria finale. Ma il ragazzo era felicissimo per questa sua medaglia d’argento e la sera, insieme agli amici, ha festeggiato al Sayonara Party .

Dopo il bel bronzo vinto dalla sarda Valentina Murgia  nei 54 chili di Low-Kick che anche lei ha saputo tener testa sino alla fine all’avversaria  francese Largillerie Lizzie (che vincerà l’oro contro la croata Zeljana Pitesa), anche l’argento di Mimma Mandolini (-65)  rappresenta il massimo che si potesse ottenere, visto che, dopo aver passato il  primo turno  perché testa di serie, e battuto abbastanza nettamente la francese  Moreau Cynthia in semifinale, l’azzurra si è infortunata ad una spalla e non ha potuto fare più di tanto contro la forte russa Svetlana Kulakova in finale.

Ma dove l’Italia ha finalmente gioito per la vittoria finale è stato con Andrea Ceresoli  della Yamato Damashii di Federico Milani  di Bergamo  negli 89 chili di Kick-Light e con  la grande piccola catanese Valeria Calabrese, per la quarta volta campionessa del mondo di Light Contact nei 50 chili. Passato il turno per sorteggio, Andrea ha battuto in semifinale il polacco Cyprian Grzsda e infinale, in maniera brillante, ha avuto la meglio sullo  svizzero  Franz Gruber col quale ha scambiato  anche qualche duro colpo di troppo. Ho visto il tecnico Bruno Campiglia che a un certo punto si è dovuto allontanare dal quadrato di gara dove stava avvenendo la finale perché rischiava un colpo apoplettico, tanta era la tensione che aveva accumulato, tensione che però è svanita dopo la  proclamazione del verdetto in un urlo di gioia liberatore.



Ma dove non abbiamo temuto mai, neanche per un attimo, è stato nella vittoria finale di Valeria Calabrese, un vero e proprio monumento vivente della kickboxing nostrana  che ancora una volta a Skopje ha sbaragliato il campo nei 50 chili di light contact  battendo in rapida successione la slovena Sata Ljubei, quindi la tajikistana Sabina Tagaynazarova in semifinale e infine la russa Valentina Filatova, infilandole tutte con il suo incredibile senso del ritmo, il suo diretto sinistro d’incontro e la sua  mobilità e plasticità. Valeria, tra l’altro anche grande pugile (decretata miglior pugile ai recenti campionati italiani di pugilato), ha nella consapevolezza dei suoi mezzi che traspare dalla calma apparente con cui gareggia, unitamente a grande lucidità in ogni sua azione, la sua più grande arma che da 8 anni la fanno eccellere in questa categoria e in questa specialità. Tra l’altro Valeria sarà azzurra anche nella seconda parte dei Mondiali Wako 2011 e a Dublino, tra tre settimane, potrebbe bissare  l’oro con la vittoria nel full contact, cosa che noi tutti ci auguriamo vivamente.

Le vittorie più sofferte e sudate, sono quelle che ti restano dentro e ti gratificano maggiormente. L’aver conquistato poche medaglie in rapporto al numero dei partecipanti, tenuto conto delle difficoltà oggettive dei concorrenti, ci ha comunque riempito di orgoglio e rafforzati nella convinzione che in futuro questo gruppo saprà dare certamente di più. Ed ora, tutti gli occhi puntati a Dublino. Nella terra dei Celti, nuove battaglie e nuove imprese tutte da vivere e raccontare.